13 agosto 2024 * William De Biasi
Cenni storici
Il complesso si inseriva in una rete psichiatrica più ampia, legata anche all’Ospedale “Paolo Pini” di Milano. Negli anni '50 e '60, la struttura di Garbagnate serviva per ospitare pazienti cronici, spesso internati per motivi che oggi ci sembrerebbero assurdi: depressione post-partum, disturbi alimentari, crisi nervose, o semplici comportamenti giudicati “non conformi”.
🧠 Il suo utilizzo
Il manicomio era organizzato come una piccola cittadella della sofferenza: lunghi corridoi, reparti separati per uomini e donne, sale d’attesa, ambulatori, cucine, dormitori. I pazienti trascorrevano le giornate tra terapie farmacologiche pesanti, momenti di isolamento, e tentativi di “rieducazione” che spesso rasentavano la coercizione.
Molti venivano dimenticati lì. Alcuni vivevano tra quelle mura per decenni. Per loro, il manicomio non era solo un luogo di cura: era diventato casa, prigione e mondo.
📜 Una riflessione sull’epoca dei manicomi
L’Italia, come gran parte dell’Europa, ha attraversato un lungo periodo in cui il disagio psichico veniva allontanato e occultato. Il manicomio era la risposta a un problema che faceva paura e imbarazzo, e la società preferiva non vedere.
Poi, negli anni Settanta, qualcosa cambiò. Il movimento anti-istituzionale guidato da Franco Basaglia fece emergere l’urgenza di una rivoluzione culturale. Nel 1978, con la Legge 180, l’Italia fu il primo paese al mondo a chiudere i manicomi. Ma non bastò una legge per chiudere anche le ferite.
📉 Il progressivo abbandono
Dopo la riforma, la struttura di Garbagnate visse anni di incertezza. Alcuni reparti vennero chiusi subito, altri trasformati in spazi per la psichiatria leggera o in magazzini. Ma il destino era segnato: la struttura fu abbandonata definitivamente tra gli anni ’90 e i primi 2000.
Da allora, il silenzio ha preso il posto delle grida, degli echi metallici delle porte blindate, delle voci che nessuno voleva ascoltare. I muri si sono riempiti di muschio, le finestre si sono frantumate, e la vegetazione ha iniziato a reclamare ciò che l’uomo ha lasciato andare.
🏚️ Situazione odierna
Oggi, l’ex manicomio di Garbagnate è completamente abbandonato. Alcuni edifici sono pericolanti, altri conservano ancora letti arrugginiti, sedie da contenimento, brandine, cartelle cliniche smarrite. Tutto è sospeso, come se il tempo si fosse fermato in un istante di dimenticanza collettiva.
Il sito è diventato una meta discreta per gli esploratori urbani, fotografi e appassionati di luoghi dimenticati. Ma l’accesso è illegale, pericoloso e non privo di rischi. I muri parlano, ma solo a chi sa ascoltare senza far rumore.
🤔 Riflessioni
Entrare in un ex manicomio non è come visitare una fabbrica dismessa o una casa abbandonata. Qui si respira il peso della sofferenza umana, il peso della solitudine istituzionalizzata. Ogni parete graffiata, ogni letto vuoto, ogni finestra spaccata racconta una storia che non ha avuto il diritto di essere ascoltata.
Esplorare non è solo documentare: è raccogliere brandelli di memoria e restituirli alla collettività. È ricordare che per anni abbiamo preferito rinchiudere ciò che non riuscivamo a capire. E forse oggi, davanti a quei muri scrostati, possiamo imparare ad avere più compassione, più ascolto, e meno paura.
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